If this has to end in fire then we shall burn together;

James/Alex

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    Era andato su tutte le furie. Persino Ted aveva preso le sue parti. Tutti seguivano James quando quest'ultimo perdeva il controllo, o forse quel viaggio era davvero sbagliato agli occhi di tutti. Ma Judas era il suo ragazzo e nessuno poteva dirle cosa doveva o non doveva fare. Agli occhi di tutti, un viaggio insieme a quello che ormai tutti vedevano come suo promesso, non doveva sembrare poi tanto sbagliato. Erano ormai grandi, entrambi maggiorenni e padroni delle proprie vite. Gli occhi indagatori di Teddy le avevano messo addirittura paura. Era intenzionato a proibirle di uscire da quella casa, ma le argomentazioni di Alex al riguardo erano riuscite a mettere fine persino alle discussioni effimere con il suo tutore legale. Non era stato facile convincerlo del fatto che aveva bisogno di una pausa, di andare lontana, ovunque nessuno l'avrebbe seguita. Continuavano a ripeterle di non dover partire, ma anche a costo di dover rompere i legami con tutti, Alexandra voleva partire, salire sulla lussuosa barca e allontanarsi insieme a Godfrey ovunque facesse più caldo, ovunque nessuno avrebbe potuto dirle cosa fare o non fare. “Se esci da quella porta, non disturbarti a tornare.” Aveva detto James mentre un Godfrey deliziato l'aspettava impassibile nella decapottabile nera presa in prestito dalla madre, per l'occasione. La moretta indugiò allungo sulla soglia di casa, ma infine, dopo aver seguito il viso distrutto del fratello per infiniti istanti, gli rivolse le spalle, oltrepassò la soglia di casa e salì in macchina. Judas le diede un leggero bacio sulla fronte non appena salì sul posto del passeggero. Non era mai stato così premuroso nei suoi confronti, ma capì che quella per lui era una vittoria insormontabile sull'antagonismo con il fratello della sua fidanzata. Si sentiva addosso gli occhi scuri di James, tuttavia non uno sguardo fu rivolto verso la casa, mentre Judas metteva in moto la macchina. Non appena si allontanarono sulla strada umidiccia, si sentì una fitta al cuore, come se quest'ultimo si fosse spezzato in due. Continuava a rivivere gli ultimi istanti in cui James l'aveva guardata, distrutto, frammentato, danneggiato, sofferente, arrabbiato. Quell'espressione la seguì nei sogni per i seguenti giorni, eppure riuscì a godersi quel fantastico viaggio attorno alle isole equatoriali. A sud, molto a sud, le temperature miti diedero loro la possibilità di spogliarsi e godersi un bagno caldo nelle acque dei Caraibi. Videro isolette colme di turisti che sorseggiavano drink alcolici. Nassau, L'Avana, Kingston. Paradisi tropicali impregnati dal sapore delle prelibatezze locali. Erba, fumo e alcol a volontà. Nuove e vecchie conoscenze che si arenavano ad animare ogni sera il magnifico quanto mastodontico Eclipse. Una vacanza che difficilmente si può scordare, se non fosse stato per il fatto che la mente di Alexandra era altrove. Persino Judas, che normalmente faceva poco caso alle necessità della ragazza si era accorto della sua predisposizione a non dargli ascolto, a ignorarlo più del solito. Probabilmente persino la sua pazienza era stata messa a dura prova durante quella magnifica settimana. Ancora una volta la ragazza lo aveva lasciato a bocca asciutta; anche lontani ubriachi e perennemente fatti, Alexandra sembrava essere tutt'altro che predisposta a compiacere il giovane quanto amorevole Godfrey. Lui, dal canto suo, non la forzava mai; sembrava volesse vincere la posta in gioco prendendosela con calma. Alexandra immaginava che a quel punto la vittoria sarebbe stata più dolce per il ragazzo. Si sentiva in colpa per lui, perché d'altronde era un bel ragazzo, affascinante, pieno di vita che sapeva come risvegliare un sorriso sul viso di lei. Eppure c'era qualcosa che la frenava, che la obbligava a toglierle le mani di dosso non appena le cose si facevano troppo serie. E così si riducevano a qualche sessione di baci passionali, culminante con il totale rifiuto di lei.
    La nave è tinta di mirifici colori. Voci delle più varie si mischiano nell'aria festosa della serata. Musica e risate. Il portoghese, lo spagnolo e l'inglese si mischiano alle orecchie di Alexandra come fluidi fiumi paralleli. Ragazze vestite in modo alquanto striminzito passeggiano sul ponte, sorseggiando drink eccentrici. Judas la fissa mentre intrattiene gli ospiti, suoi amici del posto che sono venuti a dargli il benvenuto a Nassau. Lei è seduta su una sdraio fissando le magnifiche stelle che dipingono un cielo scuro, perfetto, completamente diverso da quello che offre i domini di Hogwarts o la sua adorata Londra. E si perde tra i suoi pensieri di fronte a quello spettacolo, finché il cellulare non squilla. Le risulta ancora difficile capire come quel aggeggio funzioni, ma anche con tutte le difficoltà, riesce a rispondere alla chiamata di sua sorella. Dall'altra parte della linea, la voce le appare disperata, arrabbiata a dismisura. Non sentiva Lily da più o meno dieci giorni. Lei più di tutti era arrabbiata con Alex. Ha sempre avuto una cotta per Judas e il rapporto tra Alex e il ragazzo dei sogni della rossa, non aveva fatto altro che alterare ulteriormente la convivenza tra le due sorelle Potter.
    “Dove sei Traditrice?” Il modo in cui la chiama, risveglia una punta di acuto dolore nel cuore di Alexandra. Tuttavia si dimostra fredda, sospira e dischiude le labbra per parlare, ignorando gli sguardi intensi di Judas.
    “Non sono affari tuoi.”
    “RISPONDI. Dove sei?” Risveglia non solo dolore, ma anche sensi di colpa, e improvvisamente sembra che sia Lily la più grande tra le due. Per tutto quel viaggio, Alexandra non aveva fatto altro che comportarsi da capricciosa. Voleva fare un torto a sé stessa e alla sua famiglia. Voleva ferire James con l'intento di allontanarlo da lei.
    “A Nassau.” Risponde con un filo di voce.
    “Beh mi dispiace disturbare il tuo idillio ma qui abbiamo seri problemi. E credimi, non avrei mai chiamato te se avessi avuto modo di risolvere la questione diversamente. Ma a quanto pare...” La ragazza evita di continuare il discorso, mentre la sua vocina inizia a tremare al telefono. Lily usa sempre Alex come ultima spiaggia, la chiama quando ha bisogno di aiuto, ma è sempre la sua ultima possibilità. In qualche modo capisce che si tratta di James, altrimenti avrebbe già chiesto a lui l'aiuto necessario, oppure avrebbe chiesto senza orma di dubbio quello di Ted. Lily chiama solo quando James sta male, quando James è intrattabile, quando James potrebbe ascoltare solo ed esclusivamente lei.
    “Lily... dov'è James?” La voce è allarmata e le si spezza in gola. Le mani iniziano a tremarle e gli occhi iniziano a perdere contatto con la realtà circostante, guardando lontano oltre la linea dell'orizzonte. La pausa dall'altra parte della linea, conferma le sue profonde paure. James ne ha combinata un'altra delle sue. James non sta bene. James si è fatto del male, ed è solo colpa sua.
    “E' solo colpa tua! Tu ci hai traditi. Stai trattando con gli oscuri! I Godfrey sono maledetti. Tutto ciò per cui hanno lottato i nostri genitori... TU LI HAI TRADITI!” La linea si interrompe e il silenzio lascia spazio alla disperazione. Continua a tenere il telefono incollato all'orecchio, chiamando in sordina il nome di sua sorella. Le lacrime iniziano a rigare le sue guance rosse, animate dal sole tropicale.
    Non ci volle molto prima che il telefono squillasse di nuovo, ma questa volta la voce era profonda, decisamente più distaccata ma anche tranquilla, tanto da diventare per Alex una sorta di culla sicura. Era l'effetto che le faceva Teddy. Per quanto provasse a fare il duro e il menefreghista, lui si occupava davvero dei quattro ragazzi Potter, e lo faceva egregiamente, nonostante lasciasse credere loro di avere piena libertà d'azione. Una vocina in sottofondo provocò da parte del biondo una reazione alquanto divertente. Lo sarebbe stata anche per Alex se solo non fosse stata così scombussolata dalla paura.
    “Albus! ALBUS! Porta tua sorella a farsi un giro e se serve, in cucina dovresti trovare del nastro magico per tapparle quella bocca.”
    “TED!”

    “Sta' un po' zitta mocciosa. Allora, TU... Tu quell'altra che sta morendo dall'altra parte del mondo. Non dare ascolto a tua sorella. James si è preso una pausa, come d'altronde sembra facciate tutti da queste parti. Allora? Come stai?”
    “Ted, dov'è James?”
    “Sta bene, davvero. Ora dimmi dove sei e come stai.” Alex alzò gli occhi al cielo e sbuffò innervosita.
    “A Nassau. Sai sole, mare, sabbia...”
    “...erba uomini nudi e bocconcini abbronzati. Ho presente. James ha invece optato per mete ben più fredde. E' a Salangen a godersi l'aurora polare. Non vuole vedere o sentire nessuno. Se ne sta imbracciato a casa dei Dursley.”
    “Ma non è sicuro stare da solo. I nostri genitori sono scomparsi. Lui non è al sicuro da solo!”
    “E tu?” Alex esitò.
    “Io sto benone.”
    “Lo sento...” Il sarcasmo di Ted fu la goccia che fece traboccare il vaso. “In ogni caso la mocciosa rossa qui presente è convinta che qualcuno dovrebbe parlargli. Vorrebbe che facessi un salto da lui.”
    “In Norvegia... adesso...” Improvvisamente Alex si dimostrò addirittura restia all'idea di dover farsi migliaia di chilometri solo per una chiacchierata che con molte probabilità si sarebbe trasformata in una lite di proporzioni bibliche.
    “Beh ecco, non faccio io le regole. Ma il criceto è convinto che a te darebbe ascolto. E ci tiene a precisare che non l'ha detto lei.”
    “TED.”
    “Zitta CRICETO!”
    “Bene, sono contenta che tu te la stia cavando così bene lì. Di questo passo Grimmauld Place diventerà nel giro di qualche mese un vero e proprio manicomio, ma a parte questo stai facendo un ottimo lavoro.”
    “Vorrei ricordarti che non sono io ad essere scappato di casa con il mio cavaliere sulla decapottabile nera per sorseggiare drink e fumare erba a Nassau.”
    “Spero tu possa godere delle pene dell'inferno, Lupin.”
    “Possiamo aspettare fino a domani? Avrei un appuntamento galante con uno scimmione che spaccia a Winterfall.” Sbuffò ancora una volta, dirigendosi già verso la sua cabina per fare i bagagli.
    “Te l'ho detto. MANICOMIO.”

    Salangen è una cittadina al nord della Norvegia. Popolazione media 2000 abitanti. Zero turisti. Era stata scelta dai Dursely perché appartata, lontana da qualunque guerra magica. Harry stesso si era apprestato a proteggerla dalla magia dopo il secondo scontro con il Signore Oscuro. Attorno alla città, assieme ad Auror professionisti, aveva appostato protezioni potentissime che potessero tenere la magia lontana. Chiunque entrasse nei confini del piccolo agglomerato, perdeva all'istante qualunque proprietà magica. Per Albus era risultata una vera e propria rogna, poiché gli era sempre impossibile trasformarsi. Ad Alexandra invece piaceva molto. Era un posto appartato in cui poteva scordarsi per qualche giorno di essere una strega. Era bello abbandonarsi alla sensazione di essere normale anche solo per pochissimo tempo. Durante le poche visite ai Dursely di quando era piccola, aveva avuto l'occasione di conoscere la vita dei babbani allo stato puro. Assieme ai figli di Dudley aveva imparato a usare un telefono pubblico e usare un computer, uno di quelli antichi che usavano ancora interfacce pixellate. Col tempo tuttavia le visite erano diventate sempre meno frequente, finché i Dursely non si trasferirono negli States in seguito a un'opportunità lavorativa della moglie di Dudley che era entrata nei Marines. La casa era rimasta disabitata e usata pochissime volte dai Potter, che a volte si appartavano da soli per pochi giorni durante l'anno, mentre i loro figli, accolti dal calore di Hogwarts non sospettavano neanche della scappatella dei ancora giovani coniugi Potter.
    L'atmosfera del villaggio mise subito di buon umore l'ormai bipolare Alexandra. Il freddo polare con temperature sotto zero era stato come un tampone contro le ansie della ragazza. Mentre viaggiava sul pulman da Oslo verso la sua metà, la neve e il freddo erano riusciti a calmarla. La distesa bianca, pura e immacolata come un foglio impaziente di essere macchiato dall'inchiostro nero, l'avevano resa improvvisamente impaziente di passare qualche giorno lontana. Lontana da tutto, eppure vicina a qualcuno a cui voleva così tanto bene. E così il ricordo di James, la sua espressione prima di uscire, le tornarono nella mente e i sensi di colpa fecero irruzione nella sua coscienza frastornata. Capiva perché aveva deciso di andare così lontano da casa. Capiva perché aveva scelto Salangen. Quel posto era la pace dei sensi allo stato puro. I laghi ghiacciati, le luci delle grandi città in lontananza e l'aurora polare che dipingeva il cielo di colori verdastri rendevano quel posto un vero paradiso; non uno di quelli tropicali, in cui non vuoi altro che sfasciarti, autodistruggerti per l'unico gusto di farlo. No. Quell'atmosfera era romantica, tranquilla; idillico paesaggio poetico. Impercettibilmente appoggiò il nasino contro il vetro ghiacciato dell'autovettura, stringendosi al petto la borsa con le pochissime cose che si era portata via dalla barca dei Godfrey. D'altronde dei costumi colorati, le gonne in seta e le leggere canottiere romantiche non se ne faceva niente in un posto in cui le temperature potevano scendere addirittura ai venti gradi sotto zero durante la notte. A Oslo aveva infatti acquistato pochi vestiti pesanti che aveva indossato in un bagno pubblico alla velocità della luce, tutto segno dell'impazienza che aveva di vederlo. Voleva vederlo. Vedere James. Rassicurarlo. Parlargli. Convincerlo a tornare a casa. Ma in cuor suo sapeva che appena l'avrebbe visto, non sarebbe stata in grado di proferire parola. I suoi occhi azzurri si sarebbero addentrati in quelli scuri di lui perdendosi, ricordandosi ancora una volta di amarlo controvoglia. Sì. Lo amava. Ormai non lo negava più. Non voleva negarlo a se stessa, poiché la negazione non faceva altro che aprire squarci profondi nel suo cuore. Dentro di sé continuava a convincersi del fatto che l'ammissione era il primo passo verso la guarigione da quella malattia. Ma Alexandrava amava James. E più se lo ripeteva, più lo amava. Lo amava così tanto che era pronta a morire per lui, per quell'amore. E se era quello il suo destino, che così sia, si diceva. E al solo pensiero sorrideva.
    La chiave era sotto la piccola statuetta dell'angelo sul portico. Come sempre. Era un linguaggio universale dei Potter. Se lo ricordava sin da quando l'ultima volta che ci erano andati insieme, suo padre aveva spostato appena l'angioletto, estraendo dall'incavo della pietra una piccola chiave argentata. Il volto di suo padre mentre gliela porgeva affinché aprisse, era stampato nella sua mente come se fosse successo ieri. I suoi occhi colmi di amore mentre guardava lei e James che litigavano su chi aprire la porta. Gli occhi verdi di suo padre e le liti con James. Due costanti della vita di Alexandra che tutt'ora dopo anni ed anni, rimanevano una sorta di punto di riferimento per lei. Harry e James erano le ancore della sua vita. E in assenza di Harry restava solo James. James l'amore della sua vita. James il suo confidente. James il suo peggior nemico. James il ragazzo che avrebbe abbracciato a breve.
    Aprì la porta con la solita delicatezza che la contraddistingueva.
    Ma nella casa albergava il buio e il silenzio. Si chiuse la porta alla spalle e abbandonò la borsa sull'isolotto della cucina. Piatti sporchi le diedero la conferma del fatto che lui c'era o c'era stato.
    “James?” Ma la voce era un sussurro. La paura tornò ad alloggiare nelle sue ossa fragili. Non sapeva più niente.
     
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  2. lionheart.
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    JAMES SIRIUS POTTER

    « È vero che il tuo cuore a volte fugge? »
    Charles Baudelaire.


    « Se esci da quella porta, non disturbarti a tornare. » Il tono era categorico, lo sguardo spietato. L'ira, da sempre, in James impiegava ben poco tempo a trasformarsi in follia; come un fiume in piena che dapprima sfiora gli argini, calmo ma minaccioso, e infine li sormonta tumultuoso, inarrestabile, impossibile da contenere in tutta la sua sconcertante irruenza. Negli occhi, flebile e fugace, un guizzo di paura: temeva che Alex l'avrebbe sfidato. Eppure sapeva che l'avrebbe fatto. Sapeva che lei aveva bisogno di evadere tanto quanto lui, che quella situazione stava diventando insostenibile e terrificante per entrambi, ma non accettava che lei facesse un viaggio con lui. Era una banale questione di gelosia; una gelosia che, però, non aveva il diritto di esistere. Una gelosia impotente e, per questo, lacerante. Più che un invito a non tornare più a casa, quello di James era un avvertimento velato: Esci da quella porta e per me sarai morta. E lei uscì. James non la seguì nemmeno con lo sguardo. Troppo incazzato per farlo, troppo orgoglioso per accettare un palese rifiuto, il giovane Potter prese a camminare nella direzione opposta a quella di Alex, salendo spedito in camera sua. Non voleva assolutamente vedere il sorriso compiaciuto che Godfrey sicuramente gli avrebbe rivolto; voleva solo distruggere tutto, ma non poteva farlo: sarebbe stata una reazione troppo esagerata da parte di un fratello. E quindi prese un borsone, vi infilò dei vestiti puliti e se lo caricò in spalla senza fiatare.
    « James? Che fai? JAMES! » Lily, d'altro canto, non si era minimamente opposta alla decisione di Alex. Non erano mai andate d'accordo, le sorelle Potter, e forse era colpa di entrambe. Lily troppo ostile nei confronti di un'incomprensibile Aleksandra, quest'ultima tutt'altro che intenzionata a cambiare per farsi apprezzare.
    James non rispose. Senza guardare in faccia nessuno, scese le scale di corsa.
    « Mi farò sentire. » Si limitò a dire, mostrando il cellulare babbano che solitamente usavano per le emergenze o le comunicazioni a distanza. Ted si mise davanti alla porta.
    « Ted, fammi passare. » Ma Ted, ostinato, restò a sbarrargli la strada. James, incapace di fornire spiegazioni, sollevò lo sguardo in sua direzione. E, forse per la prima volta, l'orgoglioso Potter parve quasi supplicante. I coniugi Potter non erano ancora tornati né si erano fatti sentire, Alex si stava progressivamente allontanando dal nucleo familiare, Albus stava diventando sempre più autonomo e responsabile. James e Lily, in fondo, erano gli unici ad essere rimasti gli stessi, ad aver mantenuto il loro ruolo. Ma questa consapevolezza a James non bastava, o forse era proprio a causa di essa se si tormentava in continuazione. Non era in grado di cambiare, non lo era mai stato. Non riusciva a mantenere la calma, ad appellarsi alla ragione; non ci era mai riuscito. E in quell'istante non riusciva nemmeno a sostenere lo sguardo di Ted. Era, in sintesi, arrivato al punto di rottura.
    « Ted, per favore. » Ci riprovò, caricando inconsciamente lo sguardo di una disperazione così viva, eppure così bella sul suo viso, così intensa da disarmare Ted Lupin. Si scostò, lasciandogli la via libera nonostante le proteste di Lily. Combattere contro l'ostinazione di James era impossibile, resistere a quell'inespressa disperazione invece era straziante.
    James annuì in segno di gratitudine e lasciò l'abitazione, stringendo in mano il borsone.
    « Tornerà, Lily. » La rassicurò Ted, annuendo come per rafforzare quella certezza. Poi, correggendosi, aggiunse: « Torneranno entrambi. »
    Lo sguardo di Lily, intanto, era perso in strada. I palmi delle mani e la fronte contro la finestra dell'ingresso, il respiro ad appannare il vetro, lo sguardo fisso sull'angolo che James avrebbe svoltato per poi sparire dal suo campo visivo, la mente colma di interrogativi e un cuore altrettanto straziato. Nessuno, forse, aveva mai capito la sua piccola tragedia; le sofferenze della piccola di casa in una casa sempre più vuota.
    « La domanda è: quando? » Ma a quella domanda non v'era risposta.

    Forse per la prima volta nella sua vita, James era alla ricerca di una scappatoia. Avrebbe potuto chiamare Janis, la sua ormai ex ragazza, e farsi ospitare per qualche giorno, ma non aveva voglia di vederla né di sfruttarla, giocando coi suoi sentimenti. Janis era ormai un capitolo chiuso come Aleksandra, o forse, chissà, non era mai stato realmente aperto. E intanto camminava senza meta, James, con la sua immancabile sigaretta tra le labbra e una rabbia che da sempre, sin dalla nascita, si divertiva a dominarlo e renderlo il suo burattino; quella rabbia che, perversa, strepitava e gridava ogni qualvolta James provasse ad immaginare Alex - la sua Alex - e Judas insieme.
    « Hai da accendere, scusa? Ehi, riccioli d'oro? Parlo con te! » E spesso - non dite che non è vero - è sempre un povero passante insistente a beccarsi tutta la nostra frustrazione. James, come prevedibile, si voltò per guardarlo e lo fulminò.
    « Ma vaffanculo, và. » Trattenendo un pugno random, James impugnò con più decisione il suo borsone e riprese la sua camminata priva di destinazioni. Riccioli d'oro. Lì per lì, dominato dalla rabbia, pensò che, non appena avrebbe trovato un posto che faceva al caso suo, si sarebbe tagliato i capelli. Così, senza un motivo valido. Voleva sperimentare un cambiamento, voleva togliersi di dosso ogni suo tratto distintivo: James voleva sparire per tutti, soprattutto per se stesso. Voleva rifugiarsi in un posto lontano in cui nessuno lo conosceva, in cui avrebbe potuto ricreare se stesso anche solo per qualche giorno.
    E a quel punto la scelta fu perfino facile. Realizzò di aver avuto la soluzione sotto il naso, ad ogni angolo di quella città che non era abbastanza fredda per lui.
    E la soluzione era Salangen.
    Fece dietro-front, schiaffò l'accendino in faccia allo sconosciuto di prima e andò verso ciò che in quel momento gli parve la scelta più giusta: il gelo e, in senso più ampio, l'insensibilità.

    Si strinse nel cappotto, abbassandosi il cappuccio sul volto per ripararsi dal freddo; le mani nude nelle tasche - i guanti non li aveva mai sopportati, lo limitavano -, le labbra fredde a mordicchiare la lana del maglione che indossava. Quel maglione. Quel maledetto maglione che Alex aveva indossato quando, diverso tempo prima, era andata a trovarlo in dormitorio assumendo le sembianze di Janis. Eppure James, in quel contesto, sembrava averlo dimenticato. Aveva dimenticato tutto. Il freddo sembrava essergli entrato nelle ossa, rendendolo insensibile al dolce richiamo dei ricordi. Aveva dimenticato di farsi sentire da Lily, Ted e Albus, aveva dimenticato il modo in cui, dopo un'esitazione che al momento gli sembrò interminabile, Alex gli diede le spalle per andarsene, le promesse fatte a suo padre. Tutto. La neve scendeva copiosamente imbiancando case, strade, cancellando impronte sull'asfalto allo stesso modo in cui, con più leggerezza e grazia, rimuoveva ogni sofferenza dal cuore; soffice, vi atterrava e lo rendeva sordo, attutendo ogni colpo, fino a solidificarsi.
    « Mhm. Oggi tu e i tuoi riccioli passate da me? » E diciamo che, insieme al freddo, anche Erika l'aveva aiutato a lasciarsi tutto alle spalle: una ragazza bionda, come ogni norvegese che si rispetti, abbastanza alta, longilinea e con due grandi occhi azzurro cielo. Perché James, ovunque andasse, aveva sempre bisogno di una donna. Trovava in esse dei sostegni non indifferenti, delle tregue da una vita costellata di sofferenze e proibizioni che partivano da lui stesso. Erika l'aveva incontrata ad un locale notturno, lo stesso in cui da pochi giorni lavorava per evitare di pensare. Aveva con sé abbastanza denaro da non doversi preoccupare di restare improvvisamente senza, ma pensò che almeno, quando sarebbe tornato a casa - un giorno probabilmente molto lontano, secondo lui -, avrebbe potuto dimostrare di non aver sprecato soldi dedicandosi all'ozio sfrenato. Le prime volte era stato un po' un disastro; non avendo la minima grazia, aveva finito con lo spaccare un discreto numero di bicchieri. Erika, cameriera da ben più tempo di lui, aveva deciso di aiutarlo e mostrargli come si svolgeva il lavoro - aggiungendo alle dimostrazioni, a onor del vero, qualche sculettamento di tanto in tanto. Era una ragazza dalle idee chiare ma non per questo inflessibile; al contrario, sapeva essere molto dolce. Fu grazie a lei, probabilmente, se il cuore di James rimase vivo e scalpitante, a contatto col calore umano. Fu grazie alle notti trascorse tra le sue esili braccia, con i capelli sotto le sue mani esperte e dalle dita affusolate, da pianista, che James non si perse tra tutto quel gelo. Erika, col suo calore e la sua dolce personalità, l'aveva tenuto in vita e gli aveva impedito di cambiare, imponendogli di restare magnificamente umano come era sempre stato: caldo, ma solo con lei. Solo per lei era James, per gli altri inventava nomi sul momento. Solo con le sue carezze ritrovava se stesso. E questo gli bastava. James si reputava persino felice. Per la prima volta gli apparve davanti agli occhi la promettente prospettiva di un futuro roseo, privo di sofferenze e atroci torti subiti: il futuro che aveva sempre meritato e che gli era stato permesso di stringere tra le mani nel momento più difficile della sua vita.
    « Oggi no, piccola, ho troppo sonno. Ieri mi hai strapazzato sin troppo, non credi? » E rise, sentendo la frizzante risata di Erika, come un adolescente innamorato. Ma James non lo era. James era un disperato che, capitato in un posto in cui non aveva riposto troppe aspettative, si era lasciato travolgere dalla sorpresa di una piccola gioia imprevista. Erika era un concetto astratto, era una possibilità che era lontana anni luce dall'essere reale e a cui, tuttavia, James cercava di aggrapparvisi disperatamente, con quella sua urgenza che l'aveva da sempre contraddistinto. Erika era uno spiraglio di gioia verso cui James avanzava, velocemente, come un esule in fuga dal silenzio del suo stesso cuore.
    « Dovrai cucinare tu? Oddio, farai saltare tutto. »
    « Come osi? Se ben ricordi, ieri ti ho cucinato un'ottima omelette. »
    « Ottima è un parolone, amore. » E fu lì, davanti a quell'amore, che James realizzò di aver intrapreso la strada dell'ennesimo errore. Il cuore di James, come assente, rimase muto davanti a quella prima volta. Il cuore di James non aveva mai smesso di fuggire.
    Ma nonostante tutto James non si diede per vinto. Era da tempo che si obbligava ad amare Erika, a non volerla lasciar andare, pretendendo da lei solo calore e notti d'amore.
    « L'aggettivo ottima, in realtà, non le rende affatto giustizia. » E provò davvero a chiamarla anche lui amore, ma il cuore gli rimase in gola assieme alle parole.
    « Ora ti devo lasciare, qualcuno ha aperto la porta di casa. » Disse un po' agitato, ma mantenendo un tono di voce basso per evitare che i presunti ladri potessero sentirlo. Rassicurò Erika e fece scivolare il telefono in tasca, per poi entrare in casa furtivamente, prestando attenzione a non fare il minimo rumore. Arrivato nei pressi della cucina, si sporse appena di lato e vide qualcosa che avrebbe voluto non vedere. Alex, di profilo, che posava la borsa sul tavolo e sussurrava il suo nome. Cazzo, fu il suo primo pensiero. Come una slavina implacabile tutto gli si riversò addosso, schiacciandolo fino a renderlo immobile, temporaneamente paralizzato. La mente cercava di obbligare il cuore a riempirsi di odio, ma questo non accadde. Il cuore accelerò il battito ma non per odio, né per paura. Era sollievo misto a felicità. Amore? La mente di James si rifiutava ancora di realizzarlo, perché quel rifiuto, quel voltargli le spalle, quel tradimento, l'aveva resa un nemico agli occhi di James. Ma agli occhi del suo cuore, come sempre, Aleksandra era una continua fonte di ristoro e frenesia. Solo lei sapeva come risvegliarlo, come calmarlo e come farlo assolutamente impazzire. E in quell'istante, non appena Alex intercettò lo sguardo di James, impazzì.
    Ormai beccato, James fuoriuscì dal suo nascondiglio e finse di non essere colpito in alcun modo dalla sua presenza: si tolse il giubbotto, lisciò il maglione e infine tornò a guardarla.
    « Tornatene da dove sei venuta, qui non sei la benvenuta. » Breve, gelido e incisivo. Un leggero scatto di rabbia, però, lo costrinse a spingere appena la borsa di Alex così da farla cadere sul pavimento. Niente di Alex doveva mettere radici.
    Si passò una mano tra i suoi ricci - che, nonostante tutto, aveva deciso di tenere - e si sedette su una sedia, poggiando i gomiti sul tavolo. Estrasse il cellulare, come se Alex non fosse lì, e le dita presero a comporre un messaggio con rapidità. Prima che potesse inviarlo, però, il telefono suonò: Erika, preoccupatissima, non era riuscita ad aspettare e lo stava chiamando. James rispose al primo squillo, ridacchiando tra sé per la dolcezza della compagna.
    « Sta' tranquilla, respira. Sto bene. E' solo... Niente. Mi era sembrato che la porta fosse aperta, ma non lo era. Falso allarme. » E nel frattempo fissava Alex, ignorando i battiti del suo cuore, come a dirle: per me non sei più niente.
    « I will become what I deserve. »

    E alla fine non ho resistito. James è la solita testa di cazz testarda e, be', non potevo postare con una citazione diversa da quella che ho messo. ù__ù
    Tiè, beccati Erika la svuotapalle: click.
    Cià, cicci. Scrivo qui perché ho il cellulare scarico. ♥
    (Mi aspettavo un papiro molto più lungo, ma vabè.)
     
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    “Tornatene da dove sei venuta, qui non sei la benvenuta.” Alexandra rimase impassibile di fronte alla freddezza di James, fissandolo con uno sguardo compassionevole. Non riusciva a mostrargli odio, nemmeno quando la trattava come se fosse un'estranea. D'altronde conosceva James sin troppo bene. Sapeva che gli sarebbe bastato scaricare la sua rabbia su di lei per sentirsi meglio. James era fatto così. Mentre Alexandra si teneva tutto per sé e preferiva piuttosto mostrarsi insensibile al completo rifiuto del fartello, egli la respingeva con violenza. Lo fissò allungo senza riuscire e togliergli gli occhi di dosso. Dentro di sé un fuoco simile alle fiamme dell'inferno si sprigionò radendo al suolo qualunque sua difesa. Vi era una guerra interna pronta a scoppiare da un momento all'altro. File di soldati rappresentati i suoi sentimenti contrastanti erano pronti a contendersi dentro di lei la famelica lotta tra orgoglio e pregiudizio. Alexandra non era mai la benvenuta. Anche quando pensava di esserlo, la paranoia la costringeva a pensare che tutti la odiavano. Anche coi suoi amici più intimi, quei pochi che era riuscita a mantenere durante gli anni, aveva spesso la sensazione di non essere accettata, come se loro vedessero qualcosa in lei che in realtà era maligno, maledetto. Lei non si fidava di nessuno, o quasi nessuno e nessuno si fidava fino in fondo di lei. Abbozzò un sorriso sprezzante, uno di quelli che poteva riservare solo al peggior nemico. Un sorriso smagliante che scoprì leggermente la fila di denti bianchissimi, in contrasto col rossetto color sangue che animava le sue labbra. Non un cenno di amore trasparì dal suo bellissimo volto. Solo gli occhi parlavano. Parlavano più del suo atteggiamento freddo, della sua posizione eretta, leggermente inclinata verso l'isolotto su cui poggiava una mano dalle dita tamburellanti per nascondere il tremolio generale della sua carne. La carne. La stessa di colui che amava. La carne che la spingeva verso di lui, tanto quanto l'allontanava da lui. Da quel lui. Da James. Il bellissimo mostro che ora la fissava con profondi occhi scuri, talmente colmi di risentimenti da farle venire la pelle d'oca.
    Il telefono squillò e per la prima volta dopo molto tempo vide sul volto del ragazzo un sorriso melanconico, pieno di dolcezza, un sorriso che spesso e volentieri riservava solo ed esclusivamente a lei. Ricordava i momenti al lago, nella casa estiva dei Potter, dove poco più di un mese prima erano rimasti coinvolti in atteggiamenti cruciali, travolgenti ancora una volta. Ricordava il suo volto, il sorriso sulle sue labbra non appena aveva incontrato quelle di lei. Ricordava la disperazione nel suo sguardo pochi istanti prima che lei scappasse via celandosi nelle acque gelide del lago. Capiva letteralmente la metafora della doccia fredda, poiché quelle acque scure erano state per Alexandra come un'infinità di spade che laceravano la sua pelle dopo aver assaggiato lo squisito piacere delle fiamme infernali, passionali, intense, perpetue. “Sta' tranquilla, respira. Sto bene. E' solo... Niente. Mi era sembrato che la porta fosse aperta, ma non lo era. Falso allarme.” James la fissava con lo sguardo famelico di un predatore. Le lasciava intendere ancora una volta che non era la benvenuta, e nel suo sguardo duro, nei lineamenti squadrati, sorvolati dal risentimento, vide lo scombussolamento. Lei dal canto suo, provò un immenso distacco; provò nuovamente il sentimento del rifiuto, che tanto aveva contraddistinto la sua infanzia. Ancora una volta si sentiva indesiderata, denigrata da coloro che per anni aveva considerato suoi compagni di vita, di gioie e di sventure. Rivide il volto di Lily, così avverso all'idea di un'Alexandra profondamente legata al suo fratello maggiore, nonché suo eroe indiscutibile. Rivide Albus che per quanto legato a lei, continuava a mostrarle uno spassionato atteggiamento di poca confidenza personale. Rivide sua madre, spassionata figura femminile che la guardava inconsapevolmente con sospetto. E poi rivide la speranza. Ancora una volta rivide suo padre che l'abbracciava, che se la poggiava sulle gambe e le raccontava storie meravigliose. E infine rivide James. Rivide il suo volto sconvolto mentre lo baciava a stampo per la prima volta dopo il loro tredicesimo compleanno. Risentì il calore, l'essere compiuta, piena.
    La comunicazione tra James e la misteriosa Lei dall'altra parte del filo cadde assieme al silenzio che incorse nell'open space dei Dursley. La borsa di lei cadde a terra. Ma lei non se ne accorse neanche, o non volle accorgersene. Continuava a fissarlo con quel sorriso a metà sprezzante, a metà rotto dalla sofferenza interiore. “Nonna Weasley mi ha fatto sedere accanto a zio Percy e quella bestiolina di suo figlio per anni, perché era convinta che io volessi ucciderla. Pensava fossi posseduta. Mi teneva lontana, assieme ai pregiudicati della famiglia. Conosco bene il sentimento del non essere la benvenuta. E tu dovresti saperlo, visto che protestavi ogni qual volta dovessi trovarti dall'altra parte del tavolo rispetto a me.” Il tono risultò sprezzante, ma si ruppe parecchie volte nella gola di Alexandra che si sentiva un nodo allo stomaco che le impediva di parlare con la solita eleganza e confluenza.
    Infine sospirò, si passò una mano tra i lunghi riccioli color ebano e si tolse il pesante capotto grigio scuro, appoggiandolo su una delle sedie che contornavano un elegante tavolo di cristallo. Rimase con addosso una camicetta in seta rosa sotto la quale portava un maglioncino a collo alto. I soliti jeans neri, infilati negli stivali a tacco vertiginoso, unico tocco di classe – alquanto scomodo visto il ghiaccio sedimentato là fuori – che si era permessa a Oslo. Doveva ammettere che i suoi parenti babbani avevano acquisito negli ultimi anni buon gusto in fatto di arredamento. Non si era fermata a osservare attentamente la casa, ma ora che aveva deciso di ignorare James, poteva osservare meglio quegli interni caldi e accoglienti. Una casa performante, tipicamente babbana, che ogni essere umano con un filo di sale in zucca sarebbe stato fortunato ad avere. Accese il caminetto a gas che sprigionò stranamente una fiamma compatta, simile a quelle naturali, illuminando il salotto di una luce soffusa, calda, stranamente romantica. Accese anche qualche candela profumata, come avrebbe fatto sua madre, per rendere quel posto così freddo e asettico finalmente simile alla loro casa. Gli passò per un attimo accanto, dirigendosi di nuovo verso l'isolotto della cucina per prendere la sua borsa. Era intenzionata a istallarsi comodamente lì, finché quell'ostinato di suo fratello non ne avrebbe avuto abbastanza di lei, decidendo di tornare a casa. “A proposito, bel maglione. E' anche il mio preferito.” E non appena gli rivolse le spalle, sorrise stranamente maliziosa, raccogliendo da terra la borsa. “Bene, se abbiamo finito coi drammi e le imbarazzanti chiacchierate con la fighetta di turno, credo che andrò a istallarmi di sopra.” Sorriso ironico, puntini puntini punti, sguardo colmo di intesa, puntini puntini puntini, meglio andare prima che questa cosa si trasformi in una sottospecie di quadro in cui io sono seduta sull'isolotto con te tra le mie gambe, punto.

    “Mocciosa, sono abbastanza impegnato al momento.”
    “Lei chi è?”
    “Ma lei chi... dai non essere ridicola! Te l'ho detto! Sto con uno scimmione alto due metri che mi infilzerà con il suo mastodontico... ehm... lascia perdere, che cosa vuoi?”
    “No, aspetta! La domanda è, che cosa volete voi da me. Siete pazzi da legare! Mi avete mandato in mezzo al nulla per contrattare con un matto.”
    “Bambola, ti sei mai guardata allo specchio?” Pausa. Silenzio. Ted sta ridacchiando maliziosamente dall'altra parte della linea e Alex è convinta di non essere la fonte di così tanta ilarità. “Ehi ehi... lì no! Oddio oddio si... lì va benissimo.” Alex alza gli occhi al cielo aspettando.
    “TED! Come te lo devo dire. Non vuole vedermi e non vuole vedere nessuno e sono sicura che fosse per lui farebbe l'eremita per il resto della vita.”
    “Uffa, non ci credo che sto per dirlo, ma sei una mocciosa intelligente... bla bla... troverai una soluzione... bla bla. Basta che ti sbrighi visto che la prossima settimana ricomincia scuola e io non ho intenzione di dare spiegazioni a quella Milf della vostra preside sul vostro conto.”
    “Ma...”
    “Nessun ma, altrimenti ti taglio la paghetta.”
    “Ted... io...”
    “E ora Giulietta Sempronia, se hai smesso di rompere le gobbiglie, avrei da fare.” La comunicazione si interrompe e Alex resta da sola, sdraiata sul letto nella camera degli ospiti, avvolta nell'asciugamano profumante di freschi fiori primaverili. Sbuffa innervosita, apre la borsa e indossa le prime cose che trova. Un largo maglione che le lascia le spalle scoperte e un paio di leggins blu notte. E decide di uscire da quella maledetta stanza con i capelli ancora umidi, pronta a parlare con James, per chiedergli scusa nonostante non abbia fatto nulla di sbagliato. Ma la casa al pianoterra e ancora una volta sconvolta dal silenzio. Alexandra rabbrividisce. Ha paura che se ne sia andato. Nel caminetto arde ancora un fuoco scoppiettante e le luci soffuse della cucina sono ancora accese. Decide quindi di non pensare a cosa sta combinando James, ovunque lui sia, in qualunque angolo della casa si stia nascondendo. Lava i piatti. Si, lava i piatti e li ripone attentamente nei ripiani un po' a caso, poiché non conosce le disposizioni di quella casa, e infine, non sapendo cosa altro fare, inizia a preparare l'impasto per alcuni pancakes. Nessuno può resistere ai pancakes, anche se i suoi hanno sempre fatto un po' schifo. Così, non appena ripone in padella il composto necessario per cuocerne il primo, chiude gli occhi e s'immagina che l'odore stanerà James e lo riporterà da lei. “Andiamo bel micetto! Dove ti sei nascosto?” Ma ancora una volta Alexandra parla con se stessa, perché in cuor suo, ha paura di essere respinta ancora una volta da James.
     
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  4. lionheart.
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    JAMES SIRIUS POTTER

    « L'essenziale è invisibile agli occhi. »
    Antoine de Saint-Exupéry.


    Era sempre così con Alex e James. Si avvicinavano e si allontanavano di continuo, instancabili, ostinati, testardi. Creavano abissi e li colmavano in alternanza, costruivano barriere che poi si apprestavano a distruggere totalmente fino a impazzire. Ma il problema di fondo era sempre uno: non erano mai troppo lontani, né troppo vicini. Quando la pace aleggiava tra loro si sentivano distanti, quando erano in guerra si sentivano sempre troppo vicini. Nessuna via di mezzo. Non avevano ancora trovato un equilibrio razionale, perché nel loro rapporto la razionalità non era contemplata. James, in particolare, si configurava inconsciamente come il nemico per eccellenza di ogni processo mentale, di ogni buon proposito ben soppesato e destinato a durare. James. Così caldo, così freddo, così calmo, così rabbioso. Lui stesso non conosceva mezze misure. Era una bomba ad orologeria imprevedibile, una mina vagante che, infantile e testarda, scoppiava al minimo contatto, alla minima percezione di calore umano. Bastava impedirgli qualcosa per convincerlo a prendersela. Quante volte le sue ragazze, piccate, evitavano di rivolgergli la parola e gli intimavano di stare alla larga? Quante volte lui, in risposta, sorrideva come un bambino capriccioso e le baciava, le toccava, le accarezzava? Senza nemmeno volerlo, distruggeva ogni sorta di tregua razionale in quell'eterna guerra passionale che era poi la sua vita. Se l'essenziale è realmente invisibile agli occhi, se solo il cuore può effettivamente condurre un essere umano verso la strada giusta, James era frenetico, sempre di corsa, seguendo il suo cuore da una provvisoria meta all'altra. Ma finiva con l'incontrare sempre vicoli ciechi perché, senza saperlo, il suo cuore era stato spezzato da un amore oltraggiato e calpestato: nel momento in cui Alex gli voltò le spalle per andarsene da Godfrey, gli aveva - forse inconsciamente - aperto una ferita troppo grande. Aveva oltraggiato il suo immenso orgoglio e ferito il suo cuore così fedele, nonostante tutto, da battere, come uno stupido, sempre e solo per lei. E state certi che, se solo l'amore fosse dipeso dalla volontà, James non avrebbe mai scelto di amare Alex. James avrebbe scelto Erika. O forse Janis. E proprio per questo motivo quel suo non poter scegliere lo faceva dannare, incazzare, ammattire.
    Finse di non aver sentito Alex riguardo il non sentirsi la benvenuta, semplicemente perché non aveva alcuna risposta in grado di metterlo nella condizione di avere ragione. Infantile, senza dubbio. In torto? Preferiva non pensarci. Il suo orgoglio cercava nutrimento e lui, semplicemente, si limitava a fornirglielo.
    - Ti devo lasciare, Erika. Anzi, aspetta... Che fai questa sera? Odio ammetterlo, ma avevi ragione: mi sento un po' solo in questa casa. Sì. A che ora passo? Le dieci? D'accordo, piccola, a stasera. - E con un sorriso sulle labbra riattaccò, sollevando solo dopo lo sguardo su Alex. Il suo umore cambiò all'istante quando sentì la sua osservazione sul maglione - se ne ricordò solo in quell'istante, provando un inaspettato fastidio - e la sua intenzione di restare in quella casa per ben più tempo. La guardò, restando silente. Avrebbe voluto far(l)e troppe cose, ma infine non fece nulla.
    - Non provocarmi, Alex. Non farlo. - E si alzò, sfrecciando verso la sua stanza.

    Si piegò leggermente col busto in avanti, posando gli avambracci sul primo pilastrino della balaustra mentre lasciava vagare lo sguardo sul panorama offerto da quella sorta di terrazzo dalle fondamenta molto stabili. Aspirò il fumo della sigaretta, sprigionandolo poi nell'aria fredda. I fiocchi di neve continuavano a cadere, incessanti, volteggiando nell'aria per imbiancare case, alberi, strade, e accompagnando i suoi sconnessi pensieri bollenti di rabbia. In quel momento realizzò di aver fatto la scelta giusta riguardo la destinazione. James, sempre così caldo, aveva bisogno di aiuti esterni per raffreddarsi. Aveva bisogno dell'aria malinconica di quel paesaggio, del silenzio che lo cullava, della neve che, atterrando, non si scioglieva, ma si solidificava fino a diventare ghiaccio. James aveva bisogno di sentirsi intoccabile, distante, impassibile. James aveva bisogno che quel silenzio gli entrasse dentro fino a rendere insensibile ogni minima parte di sé.
    - TED! Le hai detto tu di venire qui? - E Alex, andando a scuoterlo anche lì, aveva portato fuoco laddove doveva esserci ghiaccio.
    - Certo che siete due notevoli rompipalle, fratello e sorella! - Sbuffò il giovane Lupin, alzando probabilmente gli occhi al cielo. Una strana risatina maliziosa, poi, suggerì a James che il biondo doveva trovarsi in dolce compagnia.
    - Non ci credo. Tu mi mandi qui la guastafeste e intanto te la spassi! Ted, sei uno stronzo. Io ti... -
    - Non ti fai sentire da un sacco di tempo e quando lo fai mi parli così? Vedi di moderare il linguaggio o... Brava, continua così. -
    - TED! Abbi la decenza di cagarmi, almeno. Me la mandi qui e poi... -
    - Ehi, ehi! Frena. Non l'ho chiamata io, se può farti stare meglio. E' stata Lily. E ha fatto bene. Ora mi molli? Sono un tantino impegnato. -
    - Lei chi è?-
    - Ma perchè invece di farmi le stesse domande non parlate tra voi, tu e tua sorella? Devo dirvelo io? -
    - Perché, ti ha chiamato anch... -
    - Ciao James, stammi bene, non fare il bambino e torna in tempo per la scuola. E ora, noi due, dov'eravamo rimasti? - E così la comunicazione s'interruppe, lasciando a James un'immagine sin troppo vivida di un Ted in azione che, tuttavia, si apprestò a scacciare. Tornò a fumare la sua sigaretta con più bisogno. Lily. Come aveva potuto trascurarla? Come aveva potuto mettere in primo piano se stesso rispetto a lei?
    James, lentamente, iniziava a non riconoscersi più.
    Tornò nella stanza, si tolse il maglione per mettersene un altro, si sciacquò il volto e si guardò allo specchio. Come poteva essere sempre uguale eppure sempre così diverso?

    Scese le scale di corsa e sorrise per un breve istante, notando le candele profumate. Sua madre le avrebbe adorate. Di per sé non gli facevano né caldo né freddo, ma quel ricordo di casa si insinuò un attimo in lui, riscaldandolo, confortandolo. Poi sentì la voce di Alex e puff, tornò alla realtà. Cercando di mantenere le calma, andò in cucina a passo veloce e deciso, cercando di ignorare il profumo dei pancakes. Non si sarebbe lasciato corrompere così facilmente, non da lei, non dalla ragazza che aveva preferito un Serpeverde a lui.
    - Vedo che non ci siamo capiti. - Esordì, sospirando come esasperato. Le si avvicinò ai fornelli, imponendosi di non lasciarsi accalappiare dalla sua innegabile bellezza. I capelli bagnaticci, le belle spalle scoperte, quelle maledette labbra da mordicchiare... No. NO.
    - Ora tu muovi il tuo bel culetto e te ne torni dalla tua Serpe, perché ho intenzione di godermi quest'ultima settimana e non voglio che me la rovini. Intesi? - La fissò per qualche istante e, timoroso di vacillare, si avvicinò al frigorifero. Prese una fetta della torta che gli aveva preparato Erika e occupò un posto a tavola.
    - Fragole e panna. Mhm, si presenta bene. - Ne staccò un pezzo con l'ausilio della forchettina e assaporò il boccone, apparentemente soddisfatto della cucina della sua compagna. E fu in quel momento che James pensò - ma fu solo un pensiero, una credenza erronea - di amare un po' Erika: mentre Alex era a divertirsi con Godfrey, lei gli cucinava torte e lo riscaldava col suo dolce amore. Perché non riusciva ad amarla davvero? Avrebbe dato di tutto per poterlo fare, avrebbe cercato di ingannare il suo cuore con qualsiasi mezzo. Ma questo si opponeva, spingendolo a buttare la torta e mangiare i pancakes. Lo invogliava ad alzarsi da quella sedia, smettere di fare il bambino orgoglioso e stringere Alex tra le sue forti braccia. Lo spingeva a piegare la sua volontà di ferro. Ma quella non voleva saperne.
    E quindi se ne stava lì, in bilico come sempre, tra un vicolo cieco e la destinazione. Un volto sempre così bello, una personalità sempre più irriconoscibile e un cuore sempre più contrariato pur nel suo dolore. Il cuore, d'altronde, non conosce dignità.
    Ma, James, il cuore ha sempre ragione.
    « I will become what I deserve. »
     
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  5. (LuckyStrike)
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    E' come se stessi urlando, e nessuno ti sente. Ti vergogni quasi, del fatto che qualcuno possa essere talmente importante che senza di lui ti senti inutile. Nessuno capirà mai quanto fa male, ti senti senza speranza, come se niente può salvarti. E quando finisce, ed è andato, tu desideri quasi di riavere tutte quelle sensazioni brutte indietro, così che tu possa avere anche le belle.


    “Vedo che non ci siamo capiti.” Aveva già posato il primo pancake su un piattino, versando il composto del secondo nella padella quando sentì la voce del ragazzo alle sue spalle. Rabbrividì leggermente, ma non si lasciò scompigliare dall'improvvisa vicinanza. “Ora tu muovi il tuo bel culetto e te ne torni dalla tua Serpe, perché ho intenzione di godermi quest'ultima settimana e non voglio che me la rovini. Intesi?” Alzò gli occhi al cielo non riuscendo d'altronde a contenere un sorrisino che comparse spontaneamente sulle sue labbra, di fronte al crescente fastidio del ragazzo. Poteva dare solo una definizione a quel comportamento di James: gelosia. James era geloso, il che le offriva ancora una minima possibilità di perdono. Di certo non si è gelosi di fronte a una persona verso la quale si prova nient'altro che indifferenza. Si morse il labbro inferiore senza voltarsi verso di lui. Continuò il suo lavoro in silenzio con un automatismo che le diede la sensazione di essere diventata una sorta di automa da rottamare. Il cuore le si spezzava ad ogni parola del ragazzo; le si era spezzato già nel momento in cui parlando con il suo flirt della settimana, aveva accennato alla sua solitudine, a quanto si sentisse in un certo senso vuoto in quella casa. Alex portava solo vuoto e il suo completo disorientamento, il suo essere terribilmente confusa non faceva altro che alterare ulteriormente i rapporti tra i due. Dentro di sé urlava. E così scivolò in uno dei suoi patetici momenti di chiusura. Finse di non sentire, di non vedere, di non comprendere, perché in cuor suo comprendeva sin troppo; e il fatto che comprendesse James, che gli fosse così vicina spiritualmente non faceva altro che aumentare il desiderio di mandare tutto all'aria, le convenzioni, le complicazioni, le sollecitazioni sociali, pur di stargli accanto, stargli accanto come aveva sempre desiderato sin da quando aveva tredici anni. Era rinchiusa in una trappola infernale sin da allora. Ed era frustrata. Frustrata di non poter restituire le attenzioni a Judas. Frustrata di non poter frequentare alcun ragazzo senza avere l'impressione che ci fosse qualcosa di perennemente sbagliato. E in tutto ciò non poteva parlarne con nessuno. Non poteva dare voce ai suoi dubbi con nessuno, poiché James era suo fratello e Alexandra era sin troppo legata alle regole per lasciar correre un simile dettaglio.
    Un occhio di riguardo fu tuttavia rivolto a un James imbronciato seduto al tavolo non molto lontano dal isolotto. Abbastanza lontano da non poter sentire i suoi movimenti, tuttavia abbastanza vicino da sentire i suoi occhi che si ostinavano a non guardarla. Fu lei a fare il primo passo. Lo fissò allungo e dopo aver notato con grande dispiacere e la frustrazione di una bambina di quattro anni che James non le avrebbe mostrato alcun riguardo, frugò a sua volta nel frigorifero per trovare qualcosa con cui condire i pancake. Per la sua grande delusione, James era un pessimo casalingo. Avanzi di panna e qualche fragola, resti di una tavoletta di cioccolato e qualche avanzo della cena del giorno prima, erano le uniche cose ad albergare nel frigorifero. Prese perciò la ciotola di panna e un cucchiaino, qualche fragola e gli avanzi della tavoletta di cioccolato e si mosse verso il tavolo con cautela. Non sia mai che James tentasse un omicidio colposo. Si sedette sulla sedia accanto alla sua; non di fronte a lui. Era troppo rischioso guardarlo negli occhi. Tuttavia, nel silenzio che alloggiava nella casa, era facile sentire il suo respiro, il rumore tamburellante del suo cuore, il suo continuo quanto frenetico movimento del piede – segno di cattiva condotta da parte della ragazza. Ignorò tutti quei segni relativamente rilevanti della sua crescente irritabilità e si sedette iniziando a poggiare soffici cucchiaiate di panna sui suoi pancake, poggiando infine qualche fragola sull'intera composizione. Ma non era contenta. Mancava qualcosa. Mancava la gioia di un pasto insano consumato assieme a James. Mancava la lite del prima, durante e dopo la battaglia del cibo, prelibata dai gemelli Potter a tavola. Due diciasettenni. Due sciocchi. Seduti uno accanto all'altro, che guardavano ovunque, tranne che nella direzione dell'altro.
    Il gomito di Alex, andò a sbattere delicatamente contro il braccio di lui. Fu involontario, ma il contatto la fece letteralmente impazzire. Avrebbe voluto chiedere scusa. Rispondere magari con gentilezza e diplomazia di sì. Le fragole e la panna erano buone, anche se sapeva che non parlava con lei, bensì con la sua copiosa fetta di torta.
    E' quando la razionalità viene meno che Alexandra si trasforma in quel mostro malizioso di cui tutti parlano. E' solo quando le leggi vengono dettate dal caos che si scorda dell'ordine in cui giace la sua vita. Un ordine quasi ossessivo che la obbliga ad andare avanti senza sbagliare, seguendo un obiettivo ben più alto della propria felicità. Ma ora l'ordine era andato a farsi benedire. Andato in frantumi. Sotto le leggere sfumature verde azzurre che già si intravvedevano sul cielo stellato, il suo cuore prese a battere forte e la frenesia, la follia prese il sopravvento. Non era una reazione del tutto maliziosa. Era infantile, colma di una gioia che desiderava riscoprire passo dopo passo. Gli buttò nel piatto con nonchalance una delle fragole che aveva diligentemente poggiato sul tavolo non appena si era seduta. Niente. Nessuna reazione. Il silenzio fu l'unica risposta. E allora prese ad assaporare il primo boccone di pancake. Erano disgustosi. Per quanto l'aspetto fosse promettente, Alex restava pur sempre una pessima cuoca. Troppo dolci, troppo poco soffici. Pancake andati a male. Di fronte una tale delusione, gli buttò una seconda fragola nel piatto, che questa volta tuttavia morse a metà, tanto che sul piatto del ragazzo cadde una mezza fragola a forma di cuore. Un cuore rosso, sanguinante, così simile a quelli delle rappresentazioni iconografiche da farle quasi paura. Metà di lei su un piatto di argento. La sua metà. Sanguinante, rossa, vivida, dolce come solo un frutto proibito poteva esserlo. Ma ancora una volta non conseguì alcuna risposta.
    Sbuffò come una bambina capricciosa e a quel punto allontanò il piatto di pancake e avvicinò a sé la ciotola di panna. “Va bene, facciamo a modo tuo.” Sussurrò a metà divertita, a metà esasperata. Prese una bella cucchiaiata e con uno slancio acrobatico liberò la sostanza dall'involucro di acciaio, bianca come la neve sul davanzale della finestra, verso il ragazzo. La soffice panna colpì James sulla guancia e a quel punto la donzella si coprì la bocca. Si aspettava che la panna finisse dritta nel piatto del ragazzo, e invece, la mira della piccola bimba dagli occhi di cobalto era pessima quanto il suo senso dell'umorismo. Si allontanò di istinto dal tavolo, facendo un trambusto terribile con la sedia. “Oooook....” Disse con la dovuta cautela. “Questo è il momento in cui mi alzo e scompaio.” Ma prima di farlo, gli si avvicinò appena e con la punta del dito percorse la sua guancia sporca di panna, assaggiando infine il dolce sapore della vittoria. “In effetti si presenta davvero bene.” Gli occhi le brillarono, ma non appena si accorse di quello che aveva detto sorrise leggermente imbarazzata. Alex regola il caos ormai, e il caos regola Alex.
     
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